Violenza, Evan Rachel Wood, Alexandria Ocasio Cortez e le altre vittime

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Cosa lascia la violenza nella vita di una vittima? Evan Rachel Wood denuncia di aver subito violenze da parte del suo ex compagno, il cantante Marilyn Manson. In passato aveva già denunciato di essere stata abusata, ma soltanto adesso dà un nome e un volto al suo aggressore. Con la sua denuncia, l’attrice scatena un nuovo polverone, dopo lo tsunami del Me Too che ha sconvolto Hollywood, lo star system e il mondo intero.

La notizia ha fatto il giro del mondo, com’era prevedibile, e siamo certi che non cadrà facilmente nel dimenticatoio. Altre vittime di Manson si sono accodate alla denuncia e in migliaia hanno espresso solidarietà. In questo marasma, non sono mancati i pareri contrastanti. I garantisti, in particolare, che dubitano della Wood, o meglio, chiedono cautela prima condannare Marilyn Manson alla gogna mediatica.

Denunciare una violenza

Fermo restando il fatto che – presumiamo – la verità sarà accertata in un processo, vorrei soffermarmi su alcune considerazioni. Al di là dell’aggressore, denunciare una violenza non è mai facile. La violenza, di qualsiasi tipo essa sia, è un dolore che ti si conficca dentro e non va più via. Il ricordo di quell’evento condiziona la tua quotidianità e castra la tua personalità fino a modificarla.

Se sopravvivi fisicamente alla violenza, devi imparare a farlo anche mentalmente e per riuscirci devi dare fondo a tutte le tue energie e al tuo coraggio per svegliarti la mattina e stare in piedi sulle tue gambe.

Denunciare una violenza comporta una serie infinta di conseguenze, interne ed esterne. Devi affrontare il giudizio esterno, quello della società, che comunque in un modo o nell’altro ti fa sentire il suo pregiudizio addosso. E poi devi fare i conti con te stessa. Se hai tenuto il trauma dentro di te, spedendolo in un angolino lontano, nel momento in cui ne parli, lo affronti, lo racconti al mondo, riaffiora tutto. Ogni emozione, ogni sensazione, ogni goccia di disperazione. Non è detto, dunque, che la strada sia tutta in discesa.

È proprio in quel momento che fai i conti con quello che la violenza ha comportato e comporterà. Nel momento in cui la tua storia diventa di tutti, inconsciamente ricomincerai a rivivere ciò che è stato e ciò che hai vissuto. Tenersi in equilibrio per non cadere costa tanta, tantissima fatica.

Il giudizio della società

Tutto questo per dire che se, da un lato, è giusto essere garantisti, dall’altro è doveroso sostenere la vittima. Che l’aggressore si chiami Marilyn Manson cambia poco, se non nella misura in cui si tratta di un personaggio celebre. La violenza può accadere a chiunque e essere commessa da chiunque, la classe sociale e il contesto non c’entrano nulla.

Se vogliamo davvero fare un passo avanti, pensiamo alla vittima. Chi subisce violenza deve già subire il pregiudizio della società, rispondere a mille domande più o meno esplicite, sostenere lo sguardo degli scettici. Sono tutte coltellate. Fino a quando ci soffermeremo sull’aggressore o sul ‘sì, ma, però’ non faremo passi avanti.

Convivere con la violenza

La vittima va difesa sempre e comunque. Bisognerebbe tenere a mente che una violenza è un trauma enorme. Un lutto che va affrontato e elaborato, che necessita di tanto coraggio e tanta forza. È una vera e propria tragedia che polverizza la tua vita, la interrompe e, dal giorno dopo, niente sarà più come prima. Ci vorrà del tempo, tanto tempo, per riconquistare consapevolezza e ritornare a sorridere.

Tempo per sconfiggere l’ansia, gli attacchi di panico, rimarginare le ferite, ricominciare a fare una passeggiata senza paura di chi incontri per strada. Tempo per ricordarti quanto vali, tempo per accettare quello che è successo e per smettere di colpevolizzarti. È proprio qui il punto. Il senso di colpa. La vittima si colpevolizza perché si sente responsabile di ciò che le è successo, la condanna della società è del tutto superflua e ingiusta. Ecco perché le vittime necessitano di solidarietà e assenza di giudizio.

Inoltre, bisognerebbe tenere a mente che la violenza può capitare a chiunque e non c’è un perché. Può essere un partner, un conoscente, un collega, uno sconosciuto. Accade e basta. Non è necessario conoscere una vittima di violenza per capire quanto sia profonda questa piaga.

Il significato di ‘survivors’, sopravvissute

Le vittime sono soprannominate survivors, sopravvissute, e non a caso. Chi sopravvive a una violenza è una sopravvissuta. La violenza non è un evento traumatico che inizia e finisce in quel frangente. Martedì 2 febbraio Alexandria Ocasio-Cortez, durante una diretta Instagram, ha raccontato di essere una vittima di violenza. Lo ha rivelato per far capire quanto il trauma influirà successivamente sulla vita della vittima. Nel suo caso, il riferimento è stato all’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti dello scorso 6 gennaio.

La parte più difficile è il dopo, la sopravvivenza appunto. La violenza non si cancella, ma si impara a conviverci e non è sempre facile. Ricordiamocelo quando una donna trova il coraggio di denunciare e di parlare pubblicamente della propria esperienza. Quella donna è una sopravvissuta che in quel momento sta provando ad accendere un faro e a lenire, attraverso il suo dolore, quello di altre donne. Davanti a determinati racconti l’unica cosa giusta da fare è mostrare comprensione e tacere.

Questa volta lo dico non da giornalista, ma da donna vittima di violenza. Quello che ho descritto è il percorso che ogni vittima deve affrontare, dunque anche il mio, e il giudizio, le illazioni, gli sguardi esterni sono un’ulteriore pugnalata. Anche se la vittima si chiama Evan Rachel Wood.

 

Photo credits: Instagram 

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