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Beppe Grillo difende il figlio e condanna la presunta vittima

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‘Voglio chiedere perché un gruppo di stupratori seriali, compreso mio figlio, non sono stati arrestati?’. E’ la domanda con cui Beppe Grillo apre il video-sfogo pubblicato sui social che alimenta il dibattito da lunedì 19 aprile. La vicenda risale a due anni fa, a quando il figlio Ciro viene accusato di violenza sessuale, insieme ad altri tre giovani, ai danni di una ragazza.

Il fondatore del Movimento Cinque Stelle dà una sua lettura. Il figlio non è in carcere ‘perché vi siete resi conto che non è vero niente che c’è stato uno stupro. Non c’è stato niente. Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio fa kitesurf e dopo otto giorni fa la denuncia vi è sembrato strano. Bene, è strano’.

‘Sono quattro cog***ni, non stupratori’

Poi prosegue: ‘E poi non c’è un avvocato che parla, c’è il video. Tutto il video, passaggio per passaggio. Si vede che c’è la consenzietà, c’è un gruppo che ride. Sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo in mutande e saltellano col pi***lo così perché sono quattro cog***ni, non quattro stupratori. E io sono stufo, sono due anni. Se dovete arrestare mio figlio, perché non ha fatto niente, allora arrestate me, che ci vado io in galera’.

Le parole di Beppe Grillo hanno fatto il giro di stampa e social, come era prevedibile. L’ex comico è stato attaccato su più fronti. Al di là della verità processuale, che verrà accertata in tribunale, vi sono alcuni aspetti da tenere in considerazione. Beppe Grillo è un ex comico ormai politico, che ha fondato la sua carriera sulle urla. Sia in televisione sia ai comizi, ha attirato le telecamere urlando, sbraitando, provocando, fino a scardinare il sistema della ‘vecchia politica’.

Il Movimento era la pancia del Paese che parlava alla pancia del Paese. Tutto era sbagliato, tutto era da distruggere. Ha introdotto una politica colpevolista, in contrasto con l’ordinamento italiano, ma sufficiente a ottenere la fiducia dei sostenitori. E quando accade a lui cosa fa? Invoca il garantismo.

Condanna preventiva nei confronti della presunta vittima

Vi è poi un secondo aspetto, non per questo meno importante, ovvero il fatto in sé. Ciro Grillo è accusato di violenza sessuale di gruppo, non di aver rubato un pacco di caramelle al supermercato. Le illazioni di Beppe Grillo sulla presunta vittima sono sbagliate e fanno male. Insinuare che la violenza non esista perché la ragazza ha denunciato solo 8 giorni dopo è una condanna preventiva. Quella che non è stata inferta a suo figlio e che, come quasi sempre accade, colpisce la vittima.

Non c’è un tempo giusto per denunciare

Affermare, poi, l’evidenza che non si tratti di stupratori, ma di semplici cog***ni in mutande poiché nel video ‘saltellano col pis**lo così’ è un pensiero difficile da accettare. Non per la presunta colpevolezza del figlio, da accertare giustamente in sede processuale, bensì perché è evidente l’intento di sminuire il fatto. Sarà la magistratura ad accertare se c’è stata violenza o meno, ma urlare su Facebook quali siano i tempi giusti per denunciare una violenza è inaccettabile.

Lanciare un messaggio di questo tipo (‘Se non denunci subito non è mai successo’) fa male alle donne, fa male alle vittime, fa male a chi ha paura di denunciare anche a distanza di tempo e si sente in colpa per non averlo fatto prima. Fa male a chi ha paura del giudizio della società, che puntuale arriva. Sì, perché il giudizio della società arriva sempre e nella gran parte dei casi non prende le difese della vittima, ma dell’aggressore (‘Se l’è cercata’ è il pensiero più diffuso).

Se la presunta vittima fosse stata la figlia di Grillo?

Dunque, chiediamo a Grillo: se la presunta vittima fosse stata sua figlia e lo stesso video fosse stato pubblicato dal padre del presunto aggressore, come avrebbe reagito? Le avrebbe detto: ‘Hai denunciato troppo tardi, quindi non è mai successo’ oppure avrebbe sostenuto la ragazza in attesa della decisione dei giudici?

Oltre a essere padre del presunto stupratore, Beppe Grillo ha anche un ruolo pubblico, che comporta una determinata responsabilità. Il dispiacere per il figlio non lo autorizza a offendere pubblicamente la presunta vittima. Non lo autorizza a stabilire quando, come e perché una donna debba sentirsi vittima di violenza sessuale. Non lo autorizza a dire la sua su un tema così complesso e delicato con cui, ancora oggi, una donna su tre è costretta a combattere.

Gli effetti del messaggio di Beppe Grillo

In tutta questa faccenda il problema non è Beppe Grillo che, da parte in causa, difende il figlio con la propria forza mediatica. Il problema riguarda ciò che questo messaggio comporta. Dopo una violenza subentra lo shock, che ogni vittima metabolizza a modo proprio, in base a una serie di fattori. Non tutte le donne denunciano – anzi, in pochissime lo fanno -, ma ciò non significa che la violenza non esista o che non sia mai accaduta. Spesso si ha paura a denunciare per timore di non essere credute. Se, poi, non si ha la forza di denunciare immediatamente, la paura diventa terrore cui si aggiunge la voglia di dimenticare.

Il messaggio arrivato grazie a questo video è: ‘Se non denunci immediatamente non hai subito violenza’. In un momento storico in cui si prova a combattere la violenza su qualsiasi piano, torniamo indietro di decenni. Grazie a questo video, le vittime hanno capito che la strada da fare è ancora lunghissima e che non basta una battaglia su Instagram per scardinare le certezze di cui è intrisa la società.

L’unico a guadagnarci da questa storia è Beppe Grillo. Ha ottenuto l’attenzione che voleva e adesso i riflettori saranno puntati sulla vicenda. La presunta vittima è stata già condannata ancora prima che il processo abbia avuto inizio. Processo (ricordiamo) in cui suo figlio è accusato di violenza di gruppo. Un punto in più per Beppe Grillo, dieci passi indietro per tutte le donne.

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