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Quarto Grado, Alessandro Meluzzi e il peso delle parole

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alessandro meluzzi quarto grado rete 4

‘Quale educazione e quali valori erano venuti da quella famiglia?’. Queste parole appartengono ad Alessandro Meluzzi e sono state pronunciate a Quarto Grado nella puntata di venerdì 13 novembre 2020. La riflessione inerisce alla vicenda che vede protagonista Alberto Genovese, attualmente in carcere con l’accusa di violenza sessuale e sequestro di persona nei confronti di una ragazza, ospite del suo attico a Milano, ribattezzato Terrazza Sentimento.

La vicenda ha dominato e continua a dominare la cronaca per l’efferatezza con cui si sarebbero svolti i fatti. Una ragazza di diciotto anni sarebbe stata drogata e violentata ripetutamente per circa ventiquattr’ore. Ridotta ‘come una pezza’, si legge sugli articoli che aggiornano quotidianamente l’opinione pubblica.

I particolari sono talmente feroci e violenti che la stampa stessa se ne guarda bene dal fornirli. Una vicenda orribile, disumana, che va condannata senza se e senza ma. Un ennesimo caso di violenza sulle donne sul quale la stampa accende un faro e ne parla, dando la possibilità a esperti di discuterne come se si facessero chiacchiere in salotto tra amici.

Seguo Alessandro Meluzzi da anni e anni. Lo ricordo opinionista a Italia sul Due, ospite di Milo Infante e Monica Leofreddi: le sue tesi sono sempre state decise, forti, talvolta controcorrente. Lo ricordo anche nei salotti di Barbara D’Urso nel periodo in cui interveniva in qualità di presbitero della Chiesa Ortodossa italiana, attirando non poche critiche.

Infine, lo ricordo opinionista a Quarto Grado, credo sin dalla prima edizione. Ascoltare le sue parole proprio dai microfoni di Quarto Grado lascia perplessi, persino basiti. ‘Quale educazione e quali valori erano venuti da quella famiglia?’. La famiglia a cui si riferisce Meluzzi è quella della ragazza vittima di stupro, violenza sessuale.

Le parole di Alessandro Meluzzi

Nel programma del venerdì sera di Rete 4 condotto da Gianluigi Nuzzi con Alessandra Viero, afferma: ‘L’ultimo pensiero lo dedicherei, se me lo consentite, ai genitori di quelle ragazze. Dov’erano i genitori? Non c’è nessuna accusa in questo, ma quando quella ragazza scompare fino alle nove di sera del giorno dopo, qualcuno si è occupato di lei? Qualcuno si è chiesto dov’era? Quale educazione e quali valori erano venuti da quella famiglia? Non si può prescindere da questo’.

Il pensiero di Meluzzi, benché frutto di una libera manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 della nostra Costituzione, dimentica di osservare qualcosa di molto più importante che va oltre la reprimenda alla famiglia della vittima.

Donne vittime di violenza e del pregiudizio

La vittima va difesa sempre e comunque. Le illazioni, i giudizi, i ‘sì, ma…’, le frasi a metà, l’apparente compassione mentre si va comunque a caccia del marcio sono atteggiamenti tipici di chi ancora prova un pregiudizio nei confronti della violenza.

Il pregiudizio è ciò che ci frena nell’evoluzione della specie e nella battaglia verso un mondo più giusto e meno giudicante. Chiunque si arroghi il diritto di commentare una vicenda talmente cruda, talmente forte, talmente devastante, deve avere l’obbligo di non mancare di rispetto a chi quella vicenda l’ha subita sulla propria pelle.

Allargare lo spettro sulla famiglia, colpevole in qualche modo di non aver vigilato sulla figlia, è una mossa scorretta, che non aiuta la vittima e non aiuta la società. Fino a quando ci si spingerà a cercare una giustificazione o si getteranno ombre – più o meno velate – sulla vita della vittima, la violenza sulle donne rimarrà una grande, enorme, profonda, terribile piaga di cui le donne si sentiranno responsabili.

Il passo indietro di Meluzzi

Per dover di cronaca, a Quarto Grado in difesa della vittima è intervenuto Carmelo Abbate, il quale ha fatto notare a Meluzzi che ha operato un ‘atteggiamento classico sbagliato quando si ha un caso di stupro. Quello che non bisogna fare è guardare l’atteggiamento e il comportamento delle ragazze. Vanno difese’.

A quel punto, lo psichiatra fa un passo indietro: ‘Lo dico perché (la vittima, ndr) va difesa. Le ragazze non devono andare a Ibiza con personaggi così o andare a Villa Sentimento o assumere cocaina. Faccio un discorso preventivo: non andate a feste di ricchi imprenditori mentre vi promettono il mondo’.

Un dovuto passo indietro, quasi immediato. Forse Alessandro Meluzzi si è espresso male e le sue parole sono state fraintese, ma le parole hanno un peso. Specialmente se pronunciate da uno psichiatra, in prima serata, dai microfoni di un programma televisivo. Spostare l’attenzione sulle cause che hanno portato una ragazza a partecipare a una festa risulta inopportuno e fuori contesto e rischiano di giustificare l’aggressore.

La violenza sulla donne, una piaga difficile da sconfiggere

Si discute di una vita distrutta, di una ragazza di diciotto anni che ha combattuto con un mostro, forse persino con la morte, e che va difesa, vendicata, ma soprattutto tutelata e aiutata. Continuare a giustificare la violenza, di qualsiasi tipo essa sia, calcando la mano sui mores della vittima o sul contesto da cui proviene è sbagliato e profondamente ingiusto.

Le donne vittime di violenza devono sentirsi libere e sicure di poter denunciare e devono sapere di non essere sole. Non vanno colpevolizzate, vanno compatite e confortate. Purtroppo la violenza sulle donne è uno dei grandissimi temi della stingente attualità che necessità ancora di tanto, tantissimo lavoro.

Il 25 novembre sarà la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne e per tutto il giorno saranno miliardi i messaggi che verranno lanciati a sostegno dell’iniziativa dell’ONU. Purtroppo, però, a poco serviranno se poi, davanti al fatto concreto, si continua a insinuare che in qualche modo la vittima se la sia cercata.

La TV apra alle vittime di violenza

Perché è sempre così. ‘Chissà che faceva’, ‘Chissà chi frequentava’, ‘Com’era vestita?’, ‘Però è una ragazza appariscente’, ‘A mia figlia non è mai capitato nulla del genere’, eccetera eccetera. Di violenza sulle donne se ne parla tanto, ma purtroppo male. La televisione si fa promotrice di messaggi importanti, ma forse è giunto il momento di affiancare agli opinionisti di punta anche i veri sopravvissuti a una violenza.

E cioè le donne, in questo caso, che hanno vissuto sulla propria pelle un’esperienza traumatica, in grado di rispondere ad Alessandro Meluzzi o a qualsiasi altro ospite cosa significhi sopravvivere a una violenza e ricominciare a vivere.

Chi scrive rientra nel novero di quella proporzione (una donna su tre) che nella vita ha subito una violenza. Sentir dire a un esperto che bisogna fare prevenzione e intervenire sulle famiglie apre a diverse riflessioni. La violenza si può prevenire? Siamo certi che sappiamo esattamente quando e come saremo vittime di violenza? La violenza è una conseguenza giusta e diretta per chi partecipa a una festa? La famiglia può intervenire preventivamente in che modo? Intimando alla figlia femmina di coprirsi e di non uscire?

Tutelare le vittime

Ciò che si evince dalle parole dello psichiatra è: state attenti, non andate a casa degli sconosciuti. E su questo possiamo anche essere d’accordo, ma vale per chiunque, non soltanto per i giovani, non soltanto per le donne. Va ben specificato, però, che la vittima non ha alcuna responsabilità.

Non c’è bisogno di instillare il senso di colpa per ciò che avrebbe potuto o meno fare: ce l’ha già e si mitigherà solo dopo tanta forza, tanta terapia e tanto tempo. Quando capirà che non ha alcuna colpa. Le parole hanno un peso, dicevamo, e i messaggi distorti, poco chiari, che si prestano a facili interpretazioni sono sale che si aggiunge a una ferita già profonda e sanguinante e che farà fatica a rimarginarsi.

Mi perdoni, dunque, il Professor Meluzzi se punto il dito contro le sue parole, ma sono, obtorto collo, sensibile all’argomento e in generale, a prescindere dalla mia esperienza personale, la televisione dovrebbe imparare a trattare la violenza sulle donne con il dovuto tatto e i dovuti strumenti. Diversamente si riduce a una battaglia sterile prestata al piccolo schermo solo per macinare ascolti.

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