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Europe Shine A Light, versione soft dell’Eurovision, ma a mancare è proprio il trash

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Diodato Europe shine a light

L’edizione 2020 dell’Eurovision ha lasciato il posto a Europe Shine A Light, una formula più idonea alla situazione attuale, creata ad hoc in conseguenza della cancellazione dell’edizione corrente. Lo spettacolo è andato in onda sabato 16 maggio su Rai1 e Rai4 e l’Italia è stata rappresentata da Diodato, vincitore del Festival di Sanremo.

Diodato a Europe Shine A Light

La sua Fai rumore, intonata al centro di un’Arena di Verona vuota e silenziosa è stata emozionante. La canzone che, solo tre mesi fa, sembrava dedicata a un amore perso, finito, non corrisposto, oggi assume un connotato del tutto diverso. Oggi è la speranza di una ripartenza, di un rumore di vita in questo silenzio assordante di morte, prima, e di attesa, poi, che ha caratterizzato i mesi dell’emergenza. La speranza di tornare presto a fare rumore, tutti insieme.

Seppure in un contesto nuovo, quasi surreale, Diodato si è dato. Le note della canzone hanno risuonato ampiamente in tante, tantissime case. Inoltre, la seconda interpretazione, quella di Nel blu dipinto di blu ha trasmesso un senso di vicinanza ancora più forte.

L’esperimento in un tempo sospeso

Europe Shine A Light nasce dalla voglia di celebrare la musica anche in un momento di difficoltà estrema. Un momento di unione che, proprio attraverso la musica, avvicina tutti i Paesi che, ogni anno, partecipano alla gara canora.

Mettere in piedi uno spettacolo televisivo all’altezza dell’evento e, allo stesso tempo sicuro e in linea con le nuove direttive, ha richiesto certamente un grande sforzo produttivo. Europe Shine A Light, però, non è stato una versione ridotta dell’Eurovision. Si è trattato di un altro programma.

Da apprezzare certamente la voglia di non rinunciare all’edizione 2020, ma ciò che è andato in onda è tutt’altra cosa. Lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, non consente la giusta spensieratezza che contraddistingue da sempre l’Eurovision.

Com’era giusto che fosse, Europe Shine A Light ha fotografato l’attualità, un’attualità grigia, sottotono, sospesa. I contributi dai vari Paesi erano tutti declinati in una nuova chiave.

Non più abiti di scena folgoranti e tifo da stadio. È il momento della moderazione e dell’attesa. È il tempo del rispetto per chi non ce l’ha fatta e per chi ancora combatte. Le immagini delle capitali europee tutte vuote e tutte uguali nelle loro strade deserte spiegano meglio di tante parole perché sia stato giusto tramutare l’Eurovision in Europe Shine A Light.

La speranza che l’Europa, e con essa il resto del mondo, riaccenda presto la propria luce è il sottotesto a ogni frame che inquadri ora il volto di un medico o un infermiere ora una piazza vuota.

È l’Europa unita, forse davvero per la prima volta, grazie alla musica. O almeno, questo il messaggio. Ancor prima dell’unione politica, la televisione arriva – o ci prova – laddove un’unità di pensiero, ma soprattutto di condotta, sembra irraggiungibile.

Trash, elemento imprescindibile di ogni Eurovision

Sebbene il tentativo meriti un plauso, l’Eurovision è tutt’altra cosa, dicevamo. Ogni anno cresce l’attesa non solo per le canzoni, ma per l’ondata trash che la manifestazione reca con sé. È una dura lotta all’outfit più kitsch, alla performance più sfavillante, alla canzone più incomprensibile, ma al contempo orecchiabile.

E poi c’è la battaglia delle votazioni. Ognuno spera di vincere, su Twitter volano epiteti più o meno carini nei confronti del Paese che non ha votato a favore e la serata scorre velocemente in attesa dell’edizione successiva.

Quest’anno nulla di tutto ciò. Muovere una critica, però, sarebbe ingiusto. Non era il momento di cedere a lustrini e paillettes e fingere che tutto fosse rimasto immutato. È vero che l’Eurovision è intrattenimento con sfumature, anzi pennellate, trash, e ne abbiamo sentito la mancanza, ma è altrettanto vero che uno spettacolo in linea con quelli precedenti sarebbe forse risultato eccessivo, persino fuori luogo.

Dunque va bene Europe Shine A Light. Va bene i collegamenti, va bene la commozione sulle immagini delle città silenziose e sulla voce di Diodato all’Arena. Va bene anche l’inquadratura dall’alto, con il palco reale illuminato dal tricolore.

La deludente diretta di Rai1 e Rai4

Ciò che non va bene, però, è il racconto televisivo di Rai1. Anche quest’anno i commentatori sono stati Flavio Insinna e Federico Russo e, anche quest’anno, non si sono dimostrati adatti al ruolo. Tra i due, Federico Russo ha anni di esperienza musicale grazie a Total Request Live su MTV e a The Voice. Insinna risulta, invece, meno idoneo. Di certo, la coppia non funziona. Non perché non vi siano le competenze, ma perché Eurovision è un programma di musica, rivolto a un pubblico principalmente giovane, diverso da quello del preserale di Rai1.

Le critiche sono piovute anche gli scorsi anni, ma puntualmente dalle parti di Viale Mazzini si opta sempre per la stessa formula. L’Eurovision, poi, è uno spettacolo in inglese, ciò significa che se Rai1 decide di affidare il racconto a presentatori autoctoni, questi devono, sì, tradurre, ma mai – mai, mai, mai – parlare sopra le esibizioni.

Se, invece, la scelta è quella di non limitarsi a tradurre, ma raccontare con ironia e sagacia, ancora una volta bisogna essere abbastanza brevi e bravi da non parlare mai – mai, mai, mai – a esibizione iniziata.

Non è andata meglio dalle parti di Rai4, dove la serata è stata affidata a Gino Castaldo e Ema Stokholma, in diretta in contemporanea su Rai Radio2. Anche qui la diretta televisiva ‘originale’ era pressoché impossibile da seguire. Un programma già a tre voci – quelle dei conduttori di Europe Shine A Light – a cui si aggiungono le due dei colleghi nostrani necessita di ordine, altrimenti diventa tutta una gran caciara.

Come alla fine è stato. Ecco perché selezionare la lingua originale si è rivelato l’unico modo per poter seguire la serata senza accavallamenti costanti. Senza Insinna, Russo, Castaldo e Stokholma a disturbare in sottofondo. Con buona pace di chi non comprende l’inglese. Il servizio pubblico ne dovrebbe tener conto.

Photo credit: Giulia Matto 

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