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Io e Te, voglio trovare un senso (anche se un senso non ce l’ha)

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Pierluigi diaco io e te

Scomodiamo Vasco Rossi per dare il via alla nostra analisi di Io e Te, il programma del primo pomeriggio di Rai1 condotto da Pierluigi Diaco. Un programma che, già dal titolo, ambisce a essere una chiacchierata a tu per tu tra il conduttore e il suo pubblico. Io e Te, tu ed io: due anime garbate che si raccontano vicendevolmente durante una piacevole pausa postprandiale. Peccato, però, che la realtà dei fatti tradisca l’ambizione e, alla fine si riveli un succedaneo della melatonina, ovvero un ottimo rimedio per l’insonnia.

Io e Te non è un brutto programma, non è trash, non è volgare (come lo stesso conduttore sottolinea più e più volte). È semplicemente noioso. Soprattutto, non è chiaro dove voglia andare a parare. Ogni puntata inizia con il ritornello della canzone di Vasco Rossi che accompagna l’ingresso di Pierluigi Diaco in studio, il quale si appropinqua al proscenio mimandone le parole. Introduce ‘la regina della lirica, degli amori dei consigli, la signora Katia Ricciarelli’. Dopo qualche convenevole, passa a salutare ‘il custode del gossip che fu’, Santino Fiorillo, che adesso chiede di essere chiamato Santin, alla francese.

Il lessico di Pierluigi Diaco

La liturgia è la medesima in ogni puntata, e non riguarda soltanto i saluti iniziali, ma anche tutto l’andamento del programma. Il lessico di Pierluigi Diaco è ben studiato, ma scontato. Grandi aggettivi e complimenti a profusione, immediatamente ricambiati dall’interlocutore di turno. Un eccesso di elogi che risultano artificiosi. Troppa melassa, troppo zucchero. È giusto e doveroso accogliere i propri ospiti con gentilezza, un diktat che sta alla base della buona creanza, della buona educazione. Senza esagerare, però. Altrimenti si ottiene l’effetto contrario.

Vi è spazio anche per i sermoni. Delle riflessioni a voce alta sulla condizione dell’uomo, che hanno il sapore di predica. Pierluigi Diaco, poi, non si esime dal rimproverare e tacciare di maleducazione l’ospite quando il copione finisce su battute non previste. Un’aggressività inaspettata da un programma che vuole distinguersi dalla ‘volgarità’ odierna: bistrattare un ospite non rientra tra le regole del galateo.

I limiti di Io e Te

Tra un complimento e l’altro, poi, ammicca costantemente alla telecamera, tradendo una vena di narcisismo di cui non fa mistero (si apprezza l’onestà intellettuale). Non incassa bene le critiche, si scaglia spesso contro ‘i siti volgari’, tali poiché non apprezzano il suo operato.

La scelta registica, poi, non aiuta Diaco nella difficile impresa di risultare autentico. Troppe inquadrature strette sul suo volto commosso mentre chi gli sta di fronte parla, a prescindere dal tenore del racconto. Potrebbe svelare la ricetta del ciambellone della nonna e anche lì riuscirebbe ad avere i lacrimoni e darebbe inizio a una filippica sul ruolo dei nonni o sull’importanza del mangiar sano. Banalità. E poi c’è il momento delle perle di saggezza, delle lezioni di vita, delle grandi verità rivelate. Ulteriori banalità.

Ancora, il momento musicale, gentilmente accompagnato alla chitarra dal Maestro…ancora una volta, Pierluigi Diaco, ça va sans dire. Se il conduttore non strimpella, la regia manda una canzone, le note si spargono per lo studio, mentre la telecamera torna a stringere sul padrone di casa, seduto, con il volto di profilo, gli occhi chiusi, concentrato ad apprezzare il brano in tutta la sua bellezza. Un imbarazzante silenzio televisivo. Un momento morto, vuoto, di nulla, buttato lì come trait d’union tra i vari blocchi del programma, che diversamente risulterebbero ancora di più una accozzaglia senza direzione univoca.

Chi si loda s’imbroda

Verrebbe da dire: ‘Anche meno, Pigi’. Diaco fa di tutto per mostrarsi eclettico: sa condurre, sa cantare, sa suonare, sa far riflettere il pubblico, sa sciorinare pillole di saggezza. Non lo dichiara apertamente, ma fa sì che siano i suoi ospiti a ricoprirlo di compimenti, mostrandosi puntualmente sorpreso. Bisognerebbe ricordare, però, che chi si loda s’imbroda.

Vi è poi l’angolo dedicato agli animali, gli amici di Ugo. Una rubrica in cui si dà voce ai cani e alle storie dei loro padroni, raccontate dalla ‘migliore amica degli animali’, Paola Tavella. Un’idea carina, ma affetta dal solito problema: la noia.

L’ambizione di Io e Te

Ciliegina sulla torta, il pappagallo verde di carta che ricorda quello di Portobello. Decisamente un azzardo e un elemento fuori luogo, perché non apporta nulla, non comunica nulla, è un di più che agogna a qualcosa che vorrebbe, ma non può.

L’errore di Pierluigi Diaco è quello di voler consegnare a Io e Te un aurea di genialità che non c’è. Di innovazione che non c’è. Di unicità che non ha. Io e Te è il trionfo della banalità, del buonismo, dei convenevoli, che quando si fanno eccessivi iniziano a infastidire. Io e Te sembra un salotto creato ad hoc per accompagnare i telespettatori durante la pennichella pomeridiana.

Katia Ricciarelli, poi, la si fa accomodare su una poltrona posizionata a latere e non la si sfrutta a dovere. Interviene poche volte e solo quando è interpellata, ma purtroppo la sua presenza non è incisiva. Un’occasione sprecata. Soprattutto perché appare evidente che sia stata chiamata solo per attirare una determinata fascia di pubblico, quella più âgée.

La figura di Santino Santin Fiorillo, quella del gossip che fu, viene interpellata per rievocare i successi di una grande donna del passato o del presente. Il suo apporto è nullo e rientra sempre nella grande accozzaglia di cui sopra. Un po’ come accadeva l’anno scorso con Valeria Graci, presto ridotta a fare da tappezzeria.

L’ospite vip, la vera forza del programma

Per onestà intellettuale, va detto che Io e Te reca con sé un pregio: le interviste con l’ospite del giorno. Quando a raccontarsi sono personaggi forti, attuali e amati, l’intervista diventa un momento piacevole per ascoltare aneddoti e riflessioni. Il problema è ciò che vi ruota attorno: i complimenti, la chitarra, la canzone, gli occhi lucidi, i silenzi. Insomma, un punto a favore, ma non basta per raggiungere la sufficienza.

 

Photo credits: Ufficio Stampa Rai 

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