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Wanna, recensione e trama della serie Netflix su Wanna Marchi e Stefania Nobile

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Wanna Marchi, protagonista della serie 'Wanna', disponibile in 4 episodi su Netflix.

«Ho 79 anni, l’unica cosa che so fare è vendere. Datemi qualcosa da vendere. Io vendo». A pronunciare queste parole è Wanna Marchi, protagonista della serie Wanna, disponibile dal 21 settembre su Netflix. Nel corso dei 4 episodi, si ripercorre la parabola della televenditrice più famosa d’Italia, dall’ascesa negli anni ’80 alla caduta all’inizio degli anni Duemila, con il carcere e il successivo ritorno in libertà.

La trama di Wanna: dai primi passi come estetista a fenomeno televisivo

L’inizio della serie coincide con il racconto dei primi anni di vita della Marchi. I pochi soldi a casa, quando era piccola, e il primo colpo di fortuna quando era appena sposata. Un milione di lire per truccare una ragazza deceduta, dietro richiesta della madre. Da lì, il lampo di genio: proporsi come estetista nei negozi di parrucchiere del circondario. Sono gli anni ’80 e le reti private iniziano a espandersi sempre più, fino a quando Wanna fa il salto e passa davanti alla telecamera.

In poco tempo, diventa un vero e proprio fenomeno. Fa l’esatto contrario di tutti gli altri. All’approccio pacato preferisce quello aggressivo. I telespettatori sono quasi incantati da quella teleimbonitrice che punta l’accento sulla perfetta forma fisica da inseguire. I soldi fioccano a palate e la tv inizia a interessarsi al fenomeno, fino a quando la Marchi diventa a tutti gli effetti una prezzemolina, onnipresente anche sulle riviste di costume.

La storia prosegue, fino a quando arriva il patatrac. L’inchiesta di Striscia la notizia, a cui si aggiunge quella giudiziaria. Le indagini, il carcere, il processo e la condanna. Il resto è storia.

Nella serie sia Marchi sia Nobile raccontano la propria versione dei fatti. Non negano le modalità di lavoro, ma respingono ogni accusa di truffa. Alcuni passaggi sono emblematici del loro pensiero. La figlia chiede all’interlocutore: «Se uno ti vende un attrezzo e ti dice che, se ti attacchi per i piedi a testa in giù, cresci idi 5 cm e tu ti attacchi a testa in giù, è un truffatore lui o sei un cogl***e tu?».

Ancora più esplicita è la madre, riferendosi al celeberrimo sale da sciogliere nell’acqua: «Io non la chiamo truffa, perché se uno mi chiama e mi fa mettere del sale in un bicchiere, io lo mando a fan***o». Ancora: «Chi va dallo psichiatra, chi va dallo psicologo, bravi. Chapeau. I cogl***i vanno inc***ti, ca**o!».

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Stefania Nobile, figlia di Wanna Marchi, protagonista della serie Netflix ‘Wanna’.

La recensione della serie Netflix

I 4 episodi sono costruiti con dovizia di particolari. Incrociano decine di testimonianze: giornalisti, avvocati, ex dipendenti. Inoltre, traccia uno spaccato dell’Italia degli anni ’80 e ’90, quello delle province, dei piccoli centri, dove è facile rincorrere le illusioni. Quelle illusioni di cui «tutti abbiamo bisogno nella vita», come ricorda in un passaggio la Marchi, rispondendo alla domanda: fino a che punto si può approfittare delle debolezze delle persone?

A questo, si aggiunge una fotografia realistica della televisione di quelli anni. La scatoletta magica che, a sua volta, vendeva illusioni, infarcite di una moltitudine di lustrini e paillettes. Quella televisione che iniziava a ricercare il fenomeno anziché l’artista. L’effimero al posto della concretezza. In definiva, il merito di Wanna è l’assenza di un giudizio da parte di chi narra.

Entrando nel merito dell’operazione, la domanda che sorge spontanea è la seguente: si sentiva il bisogno di una serie sulla storia di Wanna Marchi e Stefania Nobile? A nostro parere, no. Ciononostante, esse rappresentano un fenomeno che ha attraversato il Paese, sotto diversi profili, e dunque avrebbe poco senso ignorarlo. L’auspicio è che le parole delle protagoniste, insieme con le testimonianze raccolte, possano mettere in guardia i cittadini da qualsivoglia tipo di vendite miracolose et similia.

Jimmy Ghione in un episodio della serie Netflix ‘Wanna’, incentrata su Wanna Marchi e Stefania Nobile.

A maggior ragione dopo aver ascoltato le loro risposte, quando viene chiesto loro un parere sulle proprie imprese. «Lo rifarei?», si chiede Wanna. «Non lo so. Lo rifarei, non lo rifarei. Forse era una sfida con me stessa». Dello stesso avviso è la figlia. «Torneresti indietro? Mai. Rifaresti? Tutto. È la mia vita, sono orgogliosa della mia vita. Ti penti? Chi si pente?! Buscetta si pente, io non mi pento».

A cristallizzare le parole del duo ci pensa il giornalista Stefano Zurlo, che afferma: «Credo che siano state vittime di sé stesse. (…) Il sodalizio non si spezzerà mai». Ai posteri l’ardua sentenza.

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