Lo scorso 20 marzo su Netflix ha debuttato Self-Made – La vita di Madam C.J. Walker. Una miniserie in quattro episodi con protagonista Octavia Spencer, ispirata alla vita dell’imprenditrice milionaria vissuta negli Stati Uniti nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Sarah Breedlove, vero nome di Madam C.J. Walker, nasce nel 1867, due anni dopo l’abolizione della schiavitù. In famiglia è la prima a essere nata libera. Dopo essere stata abbandonata dal marito, perde i capelli e l’incontro con Addie Malone le cambia la vita.
La sinossi di Self-Made
La Malone è specializzata in prodotti per capelli indicati per la ricrescita. La storia del successo di Madam C.J. Walker parte da quando ha l’intuizione di commercializzare da sé i prodotti e proporli alle donne nere, finalmente libere, ma non ancora sufficientemente emancipate per prendersi cura del proprio corpo. Il successo non tarda ad arrivare e Netflix parte proprio da qui, dal momento in cui una semplice intuizione diventa l’illuminazione che cambia la vita.
La miniserie corre veloce. Alcuni passaggi risultano frettolosi, in particolar modo il periodo che intercorre tra la trasformazione del business da prolifico a milionario, da quando, cioè, passa da semplice venditrice di successo a titolare di un’azienda con migliaia di dipendenti. Accade tutto molto velocemente ed è solo ad attività ben avviata che gli imprevisti fanno capolino.
Nel complesso, Self-Made è un ottimo prodotto. Octavia Spencer è intensa, credibile, calata nel ruolo. La sua Madam è empatica, diretta, e lo spettatore può facilmente immedesimarsi.
La condizione della donna
A meritare un plauso è la scelta di Netflix di dare spazio a questo tipo di narrazione. Self-Made è, sì, il racconto di una storia di successo, ma vi è dell’altro. È una storia di emancipazione femminile, di una donna che nell’Ottocento – non nel 2020 – ha sfidato tutto e tutti pur di realizzarsi. È la storia di una donna che si è costruita da sola, self-made appunto, senza tradire mai i propri principii. Senza scendere a compromessi, se non quelli minimi di ragionevole accondiscendenza.
È la storia di una donna che ha fornito ad altre donne la possibilità di essere indipendenti, di emanciparsi.
All’attività imprenditoriale accosta un’intensa attività sociale che le consente di avere un peso in una società maschilista, restia a conferire alle donne la possibilità di far sentire la propria voce.
La sceneggiatura mostra qualche licenza poetica, qualche venatura romanzata e strizza l’occhio alle tematiche contemporanee: il rapporto coniugale messo in crisi dal successo di lei e la latente omosessualità della figlia, due temi che ben si incastonano nell’attuale dialogo mondiale.
Da un lato, il marito che davanti alla scalata inarrestabile della moglie sente crollare le proprie certezze, dunque la propria virilità, apre un ampio ventaglio di riflessioni: la differenza di retribuzione, l’occupazione dei posti apicali, la poca fiducia della società nelle capacità femminili.
Dall’altro, la figlia che non vuole seguire le orme della madre, divisa tra le responsabilità di una vita in azienda e il bisogno di trovare se stessa. L’omosessualità accennata, poi, contrastata e infine accettata dalla madre, fa di Self-Made un prodotto assolutamente interessante.
Ultimo, ma non ultimo, Self-Made è un necessario affresco sulla condizione della donna nell’Ottocento, che richiama la condizione della donna oggi. Con le dovute distanze, le difficoltà risultano simili e la fatica pressoché invariata. Il messaggio positivo insito nella narrazione funge da monito per chi crede nella possibilità di una società più equilibrata.