Prima gli elogi, poi le critiche: il problema non è il body shaming, ma l’invidia latente

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Se pensavate che sarebbe bastata la copertina di Vanessa Incontrada senza veli su Vanity Fair per dare un calcio al body shaming, beh, vi siete sbagliati. Ci siamo sbagliati. La cascata di elogi delle prime ore di martedì 29 settembre, giorno della pubblicazione della cover a mezzo social, ha fatto posto a una pioggia di critiche, più o meno velate, in particolar modo su Twitter.

Brava Vanessa, complimenti per il coraggio, un piccolo passo per l’uomo un grande passo per l’umanità, si leggeva ovunque. L’argomento Incontrada è stato il più dibattuto, ha prodotto una ola più coinvolgente di un rigore durante un derby, ha distolto l’attenzione dal dibattito tra Donald Trump e Joe Biden, forse persino dalle teorie negazoniste sul COVID-19. Sembrava che, per una volta, si fosse tutti d’accordo sul significato del messaggio, certi che nessuno avrebbe osato dire nulla. Invece.

Le insinuazioni sui social

Invece accade che, a poche ore dall’annuncio della copertina senza veli, iniziano le insinuazioni, i dubbi, le domande subdole. Non è così grassa. La foto è photoshoppata. Se volete combattere il body shaming, mostrate una donna vera, non una taglia 42/44. A me sembra magra. È una bieca operazione commerciale, avrà qualcosa in uscita. È stata offesa, va beh, ma perché si lamenta? Non ha neanche un filo di cellulite. Ha poca pancia per la posizione in cui è ritratta, si sarà fatta correggere i difetti. 

Ecco un piccolo campione dei commenti che serpeggiano sul social dei cinguettii. Nella maggior parte dei casi, vergati – va detto – da donne. Già, le donne. Le vittime maggiori del body shaming, per mezzo secolo destinatarie di ideali di bellezza irraggiungibili e pericolosi. Quelle stesse donne che sposano il Me Too, si scagliano contro gli stereotipi e affermano di condurre una battaglia perpetua contro il patriarcato, adesso si alleano per trovare il marcio. Contro una donna.

Follia? No, purtroppo è sempre la stessa storia. Dopo il plauso, l’insinuazione. La voglia di sminuire il gesto, fino a condannarlo. Siamo diventate talmente brave a rigirare la frittata che, alla fine, da donna coraggiosa Vanessa Incontrada verrà bollata come calcolatrice o troppo esagerata.

Bene, donne, così facendo perdiamo tutte. La discrimine per posare nuda su una copertina non è il numero indicato dalla bilancia, ma cosa quel numero rappresenta. È sotto gli occhi di tutti che la Incontrada non sia mai stata grassa, obesa, eccetera eccetera. Dunque discettare sull’assenza di cellulite o sul rotolino di pancia inesistente risulta fuori luogo. E anche laddove fosse più in carne, sovrappeso, e così via, sarebbe comunque una follia concentrarsi sull’aspetto estetico.

Il messaggio contro il body shaming

Il messaggio non è: anche con due chili in più si può ottenere una copertina. Il punto è: nonostante le critiche, mi sento bella così, che vi piaccia oppure no. E mi metto a nudo, senza filtri, affinché tutte le donne possano sentirsi indistruttibili perché fiere del loro corpo e della loro immagine.

Questa copertina a dodici anni di distanza dagli attacchi subiti ha un ulteriore significato, ovvero decido di dare un calcio a quello che è stato e riparto da qui. L’equazione magrezza uguale bellezza non esiste. Un messaggio semplice, diretto, di facile comprensione.

Invece, come sempre, anziché soffermarsi sul messaggio, si preferisce guardare la pagliuzza. Ed è proprio qui che perdiamo, mie care donne. Perdiamo quando, davanti a una donna coraggiosa, che parla pubblicamente di ciò che ha subito per dare forza alle altre, anziché applaudire cerchiamo la crepa. E se non c’è, la inventiamo, la corroboriamo, fino a quando rimbalzerà da bacheca a bacheca e la nostra ipotesi – distorta, errata, infondata – assurgerà a nuova verità.

Dire: Bella la foto, ma non ci vuole così tanto coraggio a posare nudi se si è magri è un’ulteriore pugnalata inferta per placare la nostra frustrazione. Chi vive un disagio con la propria immagine, lo vive a prescindere dal peso, dalla forma del naso, dalla misura del seno. È un disturbo più profondo, che si insinua nelle pieghe dell’anima ed è difficile mandare via.

vanessa incontrada body shaming

Screditare le altre donne per sentirci migliori

La Incontrada ci è riuscita, o forse ci sta provando. Di sicuro, si è esposta per aiutare sé stessa e anche tutte le donne che quotidianamente combattono una lotta impari con i diktat della società. La lotta che, in modo ipocrita, tutte ci forgiamo di combattere, ma che poi, a conti fatti, siamo le prime ad arrestare. Quando insinuiamo il dubbio, lanciamo accuse, emettiamo sentenze, facciamo male non solo alla destinataria finale, ma innanzitutto a noi stesse.

La copertina di Vanity Fair è un messaggio di coraggio, a prescindere dai buchi di cellulite sul sedere o dalla pancetta flaccida. E se non lo capiamo, beh, altro che lotte al patriarcato. Perché attaccarla? Cos’è che ci procura così tanto fastidio da dover criticare il gesto di un’altra donna? È invidia? È frustrazione per non poter ottenere una copertina su un importante settimanale? È bisogno di screditare l’altra per sentirci migliori?

Un’occasione persa nella lotta al body shaming

Qualunque sia la risposta, la conquista della nostra libertà – quella vera, scevra da insicurezze, invidie e gelosie – è ancora molto, molto lontana. E, ancora una volta, abbiamo sprecato la preziosa possibilità di fare gruppo. Di sostenerci a vicenda e applaudirci per il coraggio di dire la nostra. Ancora una volta, abbiamo dimostrato che forse non siamo pronte per mettere in pratica la tanto sbandierata solidarietà femminile perché il nostro problema non è – solo – il patriarcato, ma l’invidia latente e la mancanza di rispetto verso le altre donne, quindi verso noi stesse.

 

Photo credits: Vanity Fair 

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