Matrimonio a prima vista Italia, uno sguardo sui trentenni di oggi

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Da qualche settimana è giunta a termine la quarta stagione di Matrimonio a prima vista Italia, la prima trasmessa su Real Time. In attesa che la rete sciolga il riserbo e mostri in quali acque navighino le coppie sei mesi dopo, è dato sapere che due su tre sono scoppiate, o meglio, hanno deciso di porre fine all’esperimento e lasciarsi.

Cecilia e Luca, Ambra e Marco, Federica e Fulvio. Dei sei, solo i primi due hanno resistito. Certo, è difficile innamorarsi a comando, a maggior ragione se si tratta di uno sconosciuto scelto da altri, ma ciò che emerge dal racconto televisivo è che qualcuno dei partecipanti deve aver fatto confusione con l’obiettivo del programma. Non è Il Grande Fratello, Matrimonio a prima vista non è un reality show né un talent in cui ci si mette in gioco per un posto al sole nel patinato mondo televisivo. È un esperimento sociale e in quanto tale andrebbe vissuto.

Dalle decisioni delle tre coppie è emerso che gli uomini sono ponti a impegnarsi, le donne no. Queste ultime dicono di volere il principe azzurro, ma in realtà sognano solo l’abito bianco e la festa. Tutto ciò che viene dopo, cioè la costruzione, quindi la quotidianità, perde di valore appena ‘la musica è finita, gli amici se ne vanno’. Il cliché che vuole le donne forti, mature e pronte a impegnarsi, viene completamente ribaltato e si assiste a una inversione di tendenza. L’uomo scelto dal team di psicologi sono troppo brutti, troppo poveri, troppo tamarri, troppo poco interessanti e chi più e ha più ne metta; loro sono belle, intelligenti, dolcemente complicate e non vogliono rinunciare a nulla del loro essere né tantomeno sono pronte a mettersi in gioco e rischiare di capire che forse non sono così perfette come credono. Soprattutto, non vogliono essere giudicate. Sono perfette così come sono: se mi vuole, mi accetta.

Il ragionamento di per sé non è sbagliato: accettare l’altro per quello che è sta alla base di ogni rapporto umano, soprattutto quello amoroso. Ciò che si dimentica di considerare, però, è che in qualsiasi rapporto è necessario smussare gli angoli, mettersi in discussione, fare persino un passo indietro, se necessario, e, soprattutto, darsi una chance. Chi partecipa a Matrimonio a prima vista lo fa perché ha perso fiducia nell’amore, ma nutre ancora la speranza e pensa che il vero amore sia dietro l’angolo; allo stesso tempo, pensa di essere pronto, perché si è stancato di ricevere continue delusioni e alla fine crede che tre specialisti siano più adatti a trovare la persona giusta. In ognuna di queste ragioni, però, ve n’è forse una ulteriore, latente.

Chi si iscrive ai casting è anche troppo pigro per cercare la propria anima gemella. Del resto, siamo sette miliardi, distribuiti in diversi continenti, trovare l’altra metà della mela potrebbe non risultare un’impresa facile. Chi sogna il principe azzurro e se lo fa trovare dalla produzione, però, dovrebbe anche scrollarsi di dosso quella enorme dose di pigrizia che è emersa sin dalla seconda puntata. Subito dopo il sì, le donne hanno dimostrato di non avere alcuna voglia concreta di mettersi in gioco e costruire un rapporto. Perché partecipare, dunque?

L’esperimento sarebbe durato poche settimane, non avevano niente da perdere, al massimo ci avrebbero provato e, se non avesse funzionato, amici come prima. Invece le cose sono andata diversamente. Perché qui due concorrenti su tre non ci hanno neanche provato. Sin dall’inizio, erano combattute chi perché il prescelto non corrispondeva all’identikit di Brad Pitt, chi perché era già stata in vacanza nello stesso posto con l’ex o perché non ha provato il colpo di fulmine il giorno delle nozze nonché del primo incontro, e così via.

Superficialità, tanta superficialità, ecco cosa ha restituito la quarta edizione di Matrimonio a prima vista. Per tutto il percorso, poi, gli uomini sono risultati i più pronti a vivere appieno l’esperienza. Hanno provato a dialogare, a confrontarsi e a raccontarsi. Si sono aperti, chi con le parole chi con i gesti, ma non è bastato. Le paturnie personali sono salite in cima alla classifica delle avversità da superare prima di espugnare la fortezza, ma bisognerebbe imparare che se si rimane troppo focalizzati su sé stessi, anche il più coraggioso dei cavalieri erranti perde l’entusiasmo e abbandona la battaglia. ‘Aiutati che Dio ti aiuta’, recita un vecchio proverbio, ed è così; del resto, gli antichi hanno quasi sempre ragione.

Il giorno della decisione si è assistito a uno spettacolo triste e desolante. Tre uomini su tre, nonostante le difficoltà e le avversità del mare in tempesta, avrebbero continuato a navigare in attesa che le acque si fossero calmate; due donne su tre, invece, si sono presentate all’incontro già decise a voler porre fine al matrimonio. Le motivazioni addotte sono state deboli, a tratti facevano acqua da tutte le parti. ‘Mi sono messa in gioco, ma non è bastato’, la frase più ripetuta in quei pochi minuti, quasi fosse una giustificazione inappuntabile.

Bisognerebbe essere onesti e dire: ‘Cercavo il bello e dannato, il principe azzurro che ho sempre sognato, volevo una persona diversa’. Sarebbe stato più corretto, anche se scomodo da ammettere.

Matrimonio a prima vista ha mostrato in nuce quel che forse sta accadendo tra i trentenni: la paura di mettersi in gioco veramente supera la voglia di esplorare nuovi territori. Allo stesso tempo, però, la convinzione che gli uomini siano degli eterni Peter Pan non trova riscontro con la realtà. Almeno quella televisiva.

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